Passiamo tutta la vita a cercare risposte. C’è chi cerca una salvezza, chi una verità, chi una redenzione. Si viaggia, si lasciano tracce in luoghi lontani nella speranza che restituiscano indizi di senso. E invece, a volte, basta tornare a casa, abbracciare un albero, piantare un seme, passare una notte in un bosco illuminati solo dal chiarore stelle. Così comincia la seconda giornata dell’Hyle Book Festival.
Il cammino si apre con le stand-up-readings del percorso Di passo in passo. Letture condivise tra i sentieri del Centro Visita “A. Garcea” riportano al centro la forza delle parole che si intrecciano al passo lento della natura, creando un tessuto di narrazioni che si mescola al respiro del bosco.
Al Garden, i bambini trasformano colori e forme in racconti visivi con “Il giardiniere dei sogni” (Sassi Junior). Ispirati al metodo di Hervé Tullet, macchie, punti e cerchi diventano un prato fiorito danzante, un’opera collettiva che unisce musica, creatività e immaginazione.
Nella libreria del festival prende forma la piccola farmacia dei sogni. Con “Vitamine letterarie”, Elena Biondo, psicologa e libroterapeuta, ascolta desideri e inquietudini e risponde con consigli di lettura: un libro come rimedio, un titolo come cura. Le storie diventano qui strumenti per guarire e immaginare.
Nel pomeriggio l’atmosfera si fa intima con Lorenza Stroppa e il suo romanzo “La cassetta delle lettere per i cari estinti” (Mondadori). Un’opera rara, perché non sono molti i libri che affrontano la morte senza schermi o metafore, scegliendo di guardarla negli occhi. Le lettere ai defunti diventano un modo per continuare a parlare a chi non c’è più, per colmare un vuoto che, in realtà, appartiene ai vivi. Perché, alla fine, ogni parola scritta a chi si è perso serve soprattutto a chi resta.
La giornata si chiude sotto le stelle del Teatro Verde con la proiezione di “Sogni di Grande Nord”. In poco meno di novanta minuti, il film diventa un racconto libero, empirico, vero: Paolo Cognetti e l’amico Nicola partono da Milano, raggiungono Vancouver e poi, a bordo di un camper, risalgono fino al 49º Stato degli USA. Non è un semplice viaggio, ma un attraversamento di paesaggi esterni e interiori, un ritorno alle radici della scrittura e della vita.
A fare da guida ideale c’è la parabola di Chris McCandless, l’eroe di Into the Wild, icona di una generazione che ha fatto del viaggio solitario un atto di fede nella libertà. Per Cognetti quella figura diventa un faro, un richiamo costante che lo porta a essere tra gli ultimi a raggiungere il luogo divenuto mausoleo mistico e senza tempo: il rifugio di chi cerca una nuova frontiera, in cui l’uomo e la natura si riconciliano come parte del tutto.
E allora torna la domanda iniziale: dove si trovano davvero le risposte che cerchiamo? Forse non nei chilometri percorsi né nelle mete lontane, ma nelle storie che sappiamo riconoscere come nostre. In un bosco che si fa libro, in un prato fiorito inventato dai bambini, in una lettera mai spedita, in un film che racconta il viaggio come ritorno. Perché a volte la risposta è già qui: in una notte illuminata dalle stelle, tra le radici che ci tengono uniti alla terra.